Campo di concentramento di Ravensbruck

Il campo di Ravensbrück (letteralmente “il ponte dei corvi”), situato a circa 80 km a nord di Berlino, viene aperto il 15 maggio 1938. Concepito, in un primo tempo, come campo di “rieducazione” per oppositori politici tedeschi, diventa in seguito a tutti gli effetti un campo di concentramento, prevalentemente femminile.

Il primo contingente arriva nel maggio del 1939 ed è costituito da circa 867 donne austriache e tedesche, provenienti dal primo campo di concentramento femminile di Lichtenburg. Si tratta in gran parte di comuniste, socialdemocratiche e testimoni di Geova tedesche e “ariane” accusate di aver violato le Leggi di Norimberga sulla “purezza della razza”, avendo avuto rapporti con persone di “razza” inferiore a quella tedesca. Il 29 giugno 1939 giunge al campo anche un trasporto di circa 400 donne di etnia Rom e Sinti con i rispettivi bambini.

A Ravensbrück nascono 870 bambini, ma solo pochissimi hanno la fortuna di sopravvivere. Altri bambini, entrati nel lager con le loro madri, non resistono agli stenti, alla denutrizione, al clima.

Con lo scoppio della guerra, arrivano inoltre trasporti di donne dalla Cecoslovacchia, dall’Ungheria, dalla Polonia, dalla Francia, dall’Italia. Alla fine della guerra il campo ospita all’incirca 45.000 internati, di cui circa 1.200 sono italiani, di cui 391 uomini e 871 donne alcune delle quali, sopravvissute, diverranno testimoni preziose di quell’esperienza: Lidia Beccaria Rolfi, Lina e Nella Baroncini, Livia Borsi, Bianca Paganini, Maria Massariello Arata, Teresa Noce, Anna Cerchi, solo per ricordarne alcune.

Oltre ad essere un campo di concentramento, Ravensbrück viene anche utilizzato come campo di preparazione per ausiliarie SS-Aufseherinnen, donne addette alla sorveglianza dei block femminili. Reclutate con appelli e giornali patriottici e dalla prospettiva di un buon stipendio, si presentano a migliaia all’esame di ammissione. Si calcola che tra il 1942 e il 1945 fossero state addestrate a Ravensbrück circa 3.500 ausiliarie, inviate poi in altri lager. La ferocia di queste aguzzine supera ogni immaginazione e rende ancora più penosa e insopportabile la già difficile esistenza delle prigioniere.

Scheda tratta dal sito dell’Aned