Viaggio della Memoria a Mauthausen

Non so se sarei riuscita ad affrontare questa esperienza senza i miei compagni di viaggio. Distogliere lo sguardo dalle baracche, dai forni crematori, dalle liste di nomi dei prigionieri assassinati e incontrare gli occhi sconcertati dei miei compagni di viaggio ma desiderosi di imprimersi nella memoria tutto quello che vedevamo è stato confortante nel mare di testimonianze atroci in cui eravamo immersi. Di conforto così come lo è stato riconoscere nelle parole dei miei compagni, anche se non ci eravamo mai visti prima, le stesse domande che mi ero posta io e le stesse emozioni che avevo provato e a cui magari non ero stata in grado di dare un nome. Saper di poter contare sulla loro vicinanza silenziosa durante la visita al campo di Mauthausen e di Ebensee e al memoriale di Gruber quando, in quegli stessi luoghi, al tempo delle deportazioni gli aguzzini più crudeli con i prigionieri erano proprio i loro compagni a cui le SS assegnavano privilegi per creare soperchierie e violenze tra individui che condividevano lo stesso destino, mostra secondo me come poter evitare che l’umanità ripeta certi errori. In una società che tende a disgregare invece che unire, a ridurre gli individui a categorie, etichette, stereotipi e schierarli l’uno contro l’altro, noi tutti siamo chiamati ad indagare e riconoscere i meccanismi di questo sistema corrotto per poterli abbattere, insieme. La solidarietà e la condivisione, il riconoscere e valorizzare le differenze tra individui come ricchezze inestimabili sono i nostri unici appigli per evitare di scivolare inerti lungo una società in discesa verso il baratro.

Nell’immaginario comune spesso si pensa ai campi di sterminio come luoghi di uccisione e di morte degli ebrei, ma è importante sottolineare che gli ebrei non erano l’unico gruppo perseguitato. Degli invalidi, dei vecchi e di tutte le persone con disabilità e impedimenti sentiamo parlare troppo poco ma non dobbiamo dimenticarci che c’erano anche loro, e che anche loro rientravano nel progetto di sterminio nazional socialista tedesco. Gli invalidi erano infatti una categoria sociale che l’ideologia nazista considerava inutile e totalmente improduttiva per il regime. Erano persone manchevoli delle condizioni fisiche o psichiche per poter lavorare, troppo deboli e fragili per essere sfruttati come manodopera; erano esseri da cui non si poteva ricavare nulla, nessun arricchimento o guadagno per il reich, erano visti non più nella loro essenza di persone ma come un peso e un costo per la società che doveva provvedere al loro sostentamento spendendo denaro. Proprio per questo motivo erano considerati una categoria separata, per loro era previsto un trattamento diverso dagli altri deportati: il loro soggiorno nei campi o nelle cliniche era privo della fatica e del sudore del lavoro e soprattutto molto più rapido. Rimanevano per soli venti minuti. Dopodiché non si sapeva più nulla di loro, erano dissolti, fatti spariti per sempre. In venti minuti. Questo era il trattamento che si meritavano allora gli invalidi e gli anziani, le persone più fragili della società che dovrebbero essere quelle da proteggere e tutelare per prime. Queste persone venivano polverizzate, ridotte in cenere e alle loro famiglie che chiedevano informazioni veniva raccontato che erano morti per malattia, per cause naturali, e si mandava loro un’urna con la cenere del famigliare. Si scoprì solo in seguito che queste famiglie non ricevettero mai le ceneri dei loro cari ma solo gli avanzi carbonizzati del cibo dei tedeschi. Questo va oltre il progetto di sterminio e la volontà di cancellare e annientare la diversità, questa è una derisione ultima e contingente. È il culmine della non umanità. Spesso viene fatta una descrizione dei deportati come di persone ormai disumanizzate a cui è stato tolto tutto ciò che di umano si ha, ma in realtà per quanto scheletrici, per quanto privati dei loro averi del loro nome e della loro identità, per quanto senza più forza e spesso senza volontà di vivere, le vittime erano sicuramente più umane dei loro carnefici. Essi invece pur preservando i loro nomi e mantenendo affetti, famiglie e averi hanno perso la loro umanità, la loro identità di esseri umani, si sono ridotti a puro odio e malvagità, sono stati loro il migliore risultato della loro stessa opera di disumanizzazione.

Guardo una stanza, chiudo gli occhi, penso. Cambio stanza, chiudo gli occhi, immagino. Entro in una delle camere, chiudo gli occhi, mi immedesimo. Fisso i forni, chiudo gli occhi... In ogni angolo almeno una vita si è spenta, in ogni angolo almeno un'anima ha pensato che la cosa migliore fosse arrendersi alla malvagità raggiunta dai nazisti. Ogni singolo mattone del campo di Mauthausen ha una storia da raccontare, una storia da trasmettere, da far ricordare. Fare ricordare che nella grande Europa Occidentale la nostra linea temporale si è spezzata, si è allontana dalla linea umana, viaggiando in parallelo su una strada buia, macabra, straziante. Un'esperienza come questa cambia il modo di vedere le cose: vedere certe immagini, leggere alcune memorie di deportati sopravvissuti e percorrere gli stessi passi di chi in quell'inferno non era in visita....ma a destinazione, mi lascia una consapevolezza che porterò orgogliosamente dentro di me. Schifato da chi ha ideato tutto questo e da chi non ha fatto nulla per fermarlo.

Ebensee guarda ogni giorno le grandi e bellissime montagne a lei vicine. Oggi, 25 febbraio 2023, il paesaggio era particolarmente suggestivo e creava un senso di pace grazie alla neve che scendeva lenta e con grossi fiocchi e che ricopriva queste enormi montagne che danno a picco su questa cittadina. Questa magnifica visione, questo silenzio e la bellezza di queste montagne imbiancate cozzano con ciò che veramente racchiudono esse. Infatti, queste caverne erano dei luoghi di morte in cui i prigionieri del campo esaurivano le loro strenue forze lavorando in questa sorta di “fabbrica” scavata nella montagna. Per giungere a questa montagna abbiamo dovuto percorrere un sentiero al freddo e sotto la neve per arrivare in questa grotta altrettanto fredda e in cui acqua gelida pioveva dalla parete superiore di essa. Questo è ciò che ho avvertito io vestita con un abbigliamento pesante e con gli anfibi ai piedi,ma ben diversa era la realtà dei prigionieri che dovevano percorrere lo stesso percorso e lavorare incessantemente fino allo sfinimento in quei luoghi bui e freddi, vestiti leggeri con una camicia e con gli zoccoli di legno ai piedi per di più senza aver mangiato e ridotti ad essere veramente e figuratamente “pelle ed ossa”. Oggi all’interno di questa cava vengono riportate delle foto che mostrano il campo di Ebensee e i suoi prigionieri. In particolare mi ha fatto venire le lacrime agli occhi la foto dei cadaveri dei prigionieri morti il giorno prima dell’8 maggio, il giorno della liberazione. I corpi, ridotti a ossa, erano ammassati e accatastati come legna. Le loro gambe e braccia o, meglio, i loro omeri, ulna, radi, femori, tibie e peroni erano aggrovigliati l’un con l’altro, creando questa montagna di morte e sofferenza, come era la stessa montagna di Ebensee al suo interno.

Sopra la fossa comune di Ebensee, ricoperta da un leggero manto bianco che purtroppo però della purezza di quel colore ha ben poco, ho scorto un fiore in fase di crescita. In questi ultimi giorni, è come se mi fossi sentita costantemente inseguita dall’angoscia che accompagna il pensiero della morte, del sangue versato nei luoghi che ho avuto il privilegio di visitare come studentessa e non di vivere come prigioniera come i nostri partigiani. Nel silenzio assordante di questi posti, mi sembrava quasi di udire il rumore delle pietre di granito che venivano smosse, dei lamenti delle persone che qui hanno trovato nient’altro che sofferenza e soprattutto, concentrarmi su quelle fotografie di cadaveri ammassati di uomini come me, ridotti a pelle ed ossa, mi ha portato ad immaginare i loro cuori nel momento in cui hanno smesso di battere, nell’istante in cui hanno riacquisito la libertà perduta abbandonando il mondo terreno. Ho percepito un peso nel petto per tutta la mia permanenza qui ma nel momento in cui mi sono imbattuta in questa nuova vita che cresce proprio nel luogo in cui i cadaveri delle vittime sono stati posti, ho provato un forte sentimento di speranza. Un fiore che nasce in queste condizioni ha una forza incredibile, incredibile esattamente come quella di coloro che per la libertà si sono battuti e hanno patito il gelo, la fame e la cattiveria dei propri simili. Mi piace pensare che quel fiorellino abbia assorbito la forza di coloro che hanno combattuto per la propria vita fino all’ultimo e penso che sia un perfetto esempio di come imparare dal nostro passato e interiorizzare nozioni importati su chi ci ha preceduto, possa salvare una società intera. Questo viaggio ha cambiato la mia percezione della vita: se penso a quanti miei coetanei si sono battuti per i propri ideali, al punto di morire per essi, nonostante avrebbero potuto prendere la scelta di rimanere neutrali, mi fa capire quanto sia importante prendere sempre una posizione perché l’indifferenza stessa uccide quanto i carnefici. Questa esperienza mi ha riempito il cuore di gratitudine nei confronti dei partigiani che per tutto ciò che abbiamo oggi hanno sofferto e perito e ha risvegliato in me, ancora più di prima, il desiderio di portare avanti la loro memoria.

Martedì 20 febbraio ero nella mia camera a preparare la valigia per il viaggio della memoria, che sarebbe iniziato il giorno successivo. Ho aperto la valigia sul letto e ho iniziato a pensare quali vestiti fossero più adatti per questo viaggio, se felpe o maglioni, pantaloni o jeans, quale giacca prendere e quali scarpe mi tenessero più caldo. Il giorno dopo sono partita con i miei compagni e siamo arrivati in Austria, passando il viaggio su un pullman comodo e caldo. Solo ora che si è concluso il viaggio ho realizzato che altre migliaia di persone hanno percorso il nostro stesso tragitto diretti verso la nostra stessa metà, con la differenza che loro non hanno avuto la possibilità di portare alcuna valigia con sé e non hanno affrontato il viaggio su un comodo pullman, ma su un treno per il bestiame come se loro stessi fossero degli animali. Non sono in grado di descrivere il modo in cui mi sono sentita mentre visitavo i memoriali e i musei, perché nonostante conoscessi la storia di questi luoghi andare a visitarli è tutt’altra cosa; i libri non parlano della sensazione di vuoto che si prova appena si entra in questi luoghi, o della sensazione di impotenza che si prova vedendo le foto di quelle persone ridotte pelle e ossa. Sono estremamente grata di aver avuto la possibilità di vivere un’esperienza del genere e soprattutto di averla vissuta con i miei compagni, con i quali ho potuto condividere lo stesso dolore, le stesse domande e la stessa voglia di ricordare. La storia, il passato non si può cambiare; ma possiamo imparare dagli errori per evitare che vengano compiute altre atrocità. Penso che il modo migliore per farlo sia sconfiggere l’indifferenza, attraverso il ricordo di tutte le persone che hanno perso prima la loro identità e poi la loro vita in questi campi, che potrebbero essere paragonati all’inferno. Primo Levi scrisse “la memoria è un dovere” e noi dobbiamo ricordare, lo dobbiamo a tutte quelle anime che hanno perso la vita subendo sofferenze indicibili; glielo dobbiamo davvero.

Ho aspettato diverse ore prima di dare spazio ai pensieri. Avevo bisogno di lasciare che si depositassero nell’anima, meditati con il valore che meritano. Il Viaggio della Memoria è stata un’esperienza emotivamente forte, a tratti faticosa. Mauthausen, Hartheim, Gusen, Ebensee sono luoghi in cui tutti i pensieri sembrano poco rispetto all’enormità di quel che lì è accaduto. Vedere con i propri occhi e percepire l’umanità sofferente degli internati e l’umanità perduta dei carnefici, ruba l’anima. Ci si sente spossati dalla fatica del cuore e dei pensieri. Eppure sento questo viaggio come necessario. La necessità della Memoria di tutti coloro che sono stati vittime e ancor più di tutti i partigiani antifascisti, che per affermare e difendere la libertà e la democrazia, in quei luoghi hanno indicibilmente sofferto e spesso hanno perso la vita. A noi, anche a me, spetta restituire l’eternità che meritano attraverso il ricordo del loro sacrificio, in un Viaggio della Memoria che prosegue ogni giorno. MEMORIA Sembra poco, è sempre troppo poco, dello straziante dolore ciò che posso avvertire nell’irreale silenzio. Sembra poco, è sempre troppo poco, delle infinite lacrime ciò che posso piangere nell’eco dello sterminio. Sembra poco, ma forse non è troppo poco, del patimento e del martirio, ciò che da ora e per sempre io posso ricordare, per la dignità di tutta l’umanità oppressa ed afflitta.

Nel momento in cui mi è stato comunicato l’itinerario di questo viaggio della memoria ho subito capito che non sarebbe stato un viaggio semplice. Riflettendo a proposito dei luoghi che avrei visto e che avrei vissuto nel momento in cui fossi stata lì ero consapevole del fatto che avrei condiviso, anche se in maniera molto minore, un pezzo di sofferenza di tutte quelle persone che purtroppo sono morte a causa di un’ideologia che non accettava la diversità all’interno dello stato in cui si è diffusa e che quindi ha ideato i modi più terribili per poterla estirpare. Mauthausen, Harteim, Gusen, Ebensee; sono tutti posti in cui nonostante siano poco presenti le strutture originali è ancora presente e altamente percepibile il male che è stato causato e tutta la sofferenza che le persone li rinchiuse hanno dovuto subire e sopportare. Allo stesso tempo però si sente anche la voglia di vita, la voglia di libertà e la speranza che i prigionieri volevano e rivendicavano. Ognuno di questi luoghi della memoria che durante questo viaggio ho avuto il privilegio di visitare e vedere con i miei occhi mi ha lasciato qualcosa che mi porterò dietro per tutta la vita, perché mi hanno dato la possibilità di capire realmente quanto la mente umana sia capace di immaginare e mettere in atto il male più profondo basandosi su idee contorte e stereotipi infondati. Tutto ciò mi ha infine fatto capire anche come in realtà attualmente il male non sia scomparso dalla terra e che esistono molte realtà in cui il male va oltre ogni possibile immaginazione.