Non sappiamo nulla di quanto accade a Mosè una volta giunto nel campo di sterminio. Sappiamo solo che quella non è la sua ultima meta: viene portato ad Ensen e poi a Mauthausen.
Non rimane niente della sua esperienza nei campi: inghiottito nell’oscurità del sistema concentrazionario nazista, viene naturale pensare che le sofferenze indicibili che molti testimoni della Shoah racconteranno di quei campi, le abbia vissute anche Mosè che, lontano dalla sua famiglia, muore a Mauthausen il 20 marzo del 1945.
Rimangono come scolpite nella pietra le parole che Elena, sopravvissuta alla guerra, pronunciò in ricordo del marito nel 1959 e che rimangono come testimonianza forte della terribile esperienza della guerra: «Non lo vidi più. Il suo calvario: Fossoli, Auschwitz, Ensen, Mauthausen. Lui, il suo corpo ormai ridotto ad una larva, crollò alla vigilia della Liberazione, il 20 marzo 1945. Lettere, testimonianze di reduci scampati al massacro. Un angoscioso interrogativo che ogni tanto si affaccia ancora, permane: le sue sofferenze hanno potuto uccidere il suo animo, il suo pensiero, il suo sentire di uomo, la sua dignità di essere uomo? Non avere più avuto una sua parola, una sola parola! Il delitto più grande di questa immane tragedia: avere ucciso Dio nell’uomo!».