Dall’inizio degli anni Trenta fino al 1939 Ermanno Fano (Soragna, 26/03/1903-Auschwitz, data ignota) e la moglie Giorgina Padova (Firenze, 29/09/1905-Auschwitz, data ignota) vivevano nel comune di Pellegrino Parmense. Ermanno lavorava nella farmacia del paese, da lui rilevata, e, grazie all’attività professionale, era riuscito ad integrarsi profondamente con la piccola comunità della Val Ceno. Il solido legame tra la famiglia Fano e Pellegrino Parmense divenne ancora più evidente in seguito alla nascita dei primi due figli di Ermanno e di Giorgina, Luciano (Pellegrino Parmense, 16/02/1932-Auschwitz, 10/04/1944) e Liliana (Pellegrino Parmense, 25/02/1934-Auschwitz, 10/04/1944). La nascita dei due bambini, infatti, fu un chiaro segno della volontà dei coniugi di costruire la loro vita lavorativa e familiare a Pellegrino Parmense e di dimorare stabilmente nel paese. Tutti i piani dei Fano furono annientati tra il 1938 e il 1939, gli anni in cui furono approvate dal Consiglio dei ministri del Regno d’Italia le prime leggi antiebraiche, che privarono i cittadini ebrei dei diritti fondamentali dell’uomo, tra cui il diritto al lavoro: il Regio decreto legge 1728 del 17 novembre 1938 decretò il divieto per gli ebrei di lavorare in enti pubblici e nelle amministrazione delle banche di “interesse nazionale” e li privò della possibilità di essere “proprietari o gestori, a qualsiasi titolo, di aziende dichiarate interessanti la difesa della Nazione” (art. 10, comma c) e di essere “proprietari di terreni che, in complesso, abbiano un estimo superiore a lire cinquemila” (art. 10, comma d) e “di fabbricati urbani […] che, in complesso, abbiano un imponibile superiore a lire ventimila” (art. 10, comma e). La legge 1054 del 1939, poi, escluse gli ebrei dall’esercizio di varie libere professioni, tra cui quella di farmacista (art. 21, comma b): “la professione di farmacista non può essere esercitata se non presso le farmacie di cui all’art. 114 del testo unico delle leggi sanitarie approvato con R. decreto 27 luglio 1934-XII, n. 1265 (ovvero “farmacie interne” gestite da istituzioni pubbliche di beneficenza non ammesse alla vendita di medicinali), qualora l’Ente cui la farmacia appartiene svolga la propria attività istituzionale esclusivamente nei riguardi degli appartenenti alla razza ebraica”. In seguito alla ratifica di queste norme, Ermanno fu costretto ad abbandonare la sua professione e decise di lasciare Pellegrino Parmense. La famiglia Fano si trasferì a Riccò, una frazione del comune di Fornovo, dove optò per la conversione al cattolicesimo, una scelta forse dettata dalla speranza di salvare i figli dal terribile destino che allora si profilava per gli ebrei e di consentire loro di andare a scuola. Si trattava, tuttavia, di una vana illusione; così si legge nel Regio decreto legge 1728 del 17 novembre 1938 (art. 8): “a) È di razza ebraica colui che è nato da genitori entrambi di razza ebraica, anche se appartenga a religione diversa da quella ebraica”.
All’inizio degli anni Quaranta, infine, Ermanno e Giorgina si stabilirono a Parma, in strada del Quartiere n. 9, dove si trovava la casa della famiglia Fano, in cui vivevano Enrico Fano, Giulia Bianchini e Alba Fano, rispettivamente genitori e sorella di Ermanno.