In vicolo Santa Maria n. 6 – nel cuore dell’Oltretorrente – si trova la casa della famiglia Polizzi, in cui, insieme ai genitori, vivevano i fratelli Secondo (detto Ernesto), Remo, Oriele e Ulderico. Dopo la morte di Clelia, la madre dei fratelli Polizzi, la casa divenne la residenza di Secondo, della moglie Ida Mussini e dei tre figli: Primo, Laura e Lina.
Già prima dell’8 settembre, casa Polizzi rappresentava un punto di riferimento per la lotta antifascista in città: Ernesto Polizzi, falegname, partecipò, nell’agosto del 1922, alle Barricate di Parma; Remo, operaio tipografo, divenne uno dei protagonisti della lotta clandestina contro il regime fascista a Parma. Nella sua autobiografia, intitolata “Il lavoro cospirativo. Novembre 1926-Aprile 1945”, Remo descrive due azioni che, in aperto contrasto con il regime, decretarono il suo arresto. Il 28 ottobre 1927, quinto anniversario della marcia su Roma, a Parma sarebbe giunto Mussolini in persona, invitato in città per inaugurare in piazzale Corridoni (allora Piazza della Rocchetta) il monumento intitolato a Filippo Corridoni. Fu per quell’occasione che Remo Polizzi, insieme agli altri membri della Federazione Giovanile Comunista di Parma, decise di tappezzare la città di bandiere rosse con una finalità ben precisa: “far sentire la nostra presenza e dimostrare in tal modo a tutta la popolazione che il fascismo non era onnipotente e che le sue leggi inique valevano soltanto per i pavidi” (R. Polizzi, “Il lavoro cospirativo. Novembre 1926-Aprile 1945”, Bologna, Edizioni Alfa, 1968, p. 14). La sorella Oriele cucì le bandiere, che la sera del 27 furono appese per tutta la città: Remo, che, insieme alla sua squadra, agiva in Oltretorrente riuscì a stento a sfuggire alla cattura da parte di una pattuglia e il giorno dopo provò una certa soddisfazione, descritta con queste parole da lui stesso: “Invece di Mussolini venne Rossoni ad inaugurare il monumento a Corridoni; ma la cosa non aveva più importanza: l’importante era che tutti, fascisti e antifascisti, sapevano che le leggi eccezionali, il Tribunale Speciale, il confino, non avevano stroncato l’antifascismo; ed ancora importante era che il posto degli anziani, deportati ed imprigionati, era stato preso da giovani, a significare la continuità della lotta” (R. Polizzi, “Il lavoro cospirativo. Novembre 1926-Aprile 1945”, Bologna, Edizioni Alfa, 1968, p. 16). L’anno dopo, nel marzo del 1928, in occasione di un convegno regionale del Partito Comunista, si stabilì che in tutta l’Emilia la sera del 31 marzo sarebbero stati affissi dei manifesti in cui veniva reso noto a tutta la popolazione l’assassinio dell’antifascista romagnolo Gastone Sozzi, torturato e ucciso dalla polizia fascista. Remo, insieme ai compagni della Federazione Giovanile Comunista di Parma, si occupò della distribuzione e della affissione dei manifesti in città. Per questi fatti, nel maggio del 1928, in seguito ad una soffiata di una spia, Remo fu arrestato e immediatamente condotto nella caserma di Via Bodoni, dove fu interrogato dal capitano Senisi e da alcuni sottufficiali. Lì fu picchiato a colpi di bastone. Il giorno seguente, ancora dolorante per le percosse subite, Remo fu trasferito nel carcere di San Francesco, dove, secondo la sua testimonianza, non provò alcuna emozione particolare, come se fosse arrivato in un luogo a lungo immaginato, ormai a lui familiare: nulla di strano se si considera che Remo, già nel 1926, quando lesse che il Parlamento aveva promulgato le “leggi speciali”, disse tra sé e sé: “Caro Remo, da questo momento è come se tu fossi stato condannato a 10 anni in contumacia” (R. Polizzi, “Il lavoro cospirativo. Novembre 1926-Aprile 1945”, Bologna, Edizioni Alfa, 1968, p. 11).
Remo Polizzi fu condannato dal Tribunale Speciale a 1 anno e 8 mesi di carcere. Dopo la scarcerazione, nonostante fosse un sorvegliato speciale, proseguì la lotta clandestina e nel 1930 fu di nuovo arrestato durante una manifestazione organizzata in occasione dei funerali di un compagno. Fu condotto a Regina Coeli e si ripresentò dinnanzi al Tribunale Speciale, che gli comminò una pena di 12 anni di carcere. Da Regina Coeli Remo fu trasferito alla casa penale di Fossombrone, dove dovette scontare due anni di “segregazione cellulare”, ovvero un periodo di assoluto isolamento. Lì fu sul punto di perdere la lucidità, ma fu salvato da un sottile strato di polvere in cui si accorse di poter incidere con il dito delle lettere: la scrittura fu antidoto alla follia. Da Fossombrone fu trasferito prima nel carcere di Fossano, poi a Civitavecchia, dove scontò gli ultimi anni di pena, ridotta a sei anni in seguito ad amnistia: uscì di galera nel 1935. Remo non si arrese e riprese l’attività politica. La libertà durò pochi anni: nel 1940 Remo fu nuovamente arrestato e condannato a tre anni di confino nell’isola di Ventotene. Dopo l’8 settembre, Polizzi rientrò a Parma e iniziò ad organizzare la Resistenza in città: il 9 settembre partecipò alla riunione a Villa Braga, alla quale presero parte i dirigenti parmensi del Partito Comunista al fine di progettare la futura lotta di Liberazione. Remo inizialmente ricevette il compito di organizzare la Resistenza nella Bassa parmense e successivamente, nel marzo del 1944, si trasferì a Piacenza, dove ricoprì il ruolo di commissario politico del Comando Unico che coordinava le azioni dei partigiani nella montagna piacentina.
L’attività politica di Remo Polizzi – insieme a quella di Luigi Porcari, marito di Oriele Polizzi – esercitò un influsso non indifferente sui tre nipoti, Laura, Primo e Lina. Laura, in un’intervista pubblicata sul sito https://www.testeparlantimemorie900.it/ , ricorda quando, da piccola, si recava in carcere con la nonna e la zia a trovare Remo e quando, dopo una di quelle visite, si accorse della presenza di tracce di sangue sugli abiti dello zio; Laura ricorda quando lo zio Remo la istruiva e la avviava allo studio dell’ideologia comunista. Una figura come quella di Remo non poteva di certo non pesare sul destino dei tre ragazzi, tutti partigiani e impegnati a vario titolo nella Lotta di Liberazione.
Laura aderì alla Resistenza già l’8 settembre 1943: durante una manifestazione antifascista, salì sui gradini da cui avevano parlato gli antifascisti e incitò i presenti alla lotta. Il giorno dopo fu presente alla riunione di Villa Braga. La donna dapprima fu staffetta, poi, in quanto ricercata, se ne andò da Parma e si trasferì, con falsi documenti, a Reggio Emilia, dove, assumendo il nome di battaglia di “Mirka”, ricoprì il ruolo di responsabile dei Gruppi di Difesa della Donna. Nell’estate del 1944 “Mirka” salì in montagna e divenne vicecommissario politico dei garibaldini del Reggiano. Dopo il rastrellamento del luglio 1944, Laura tornò in pianura, dove riprese l’attività di responsabile dei Gruppi di Difesa delle Donne. Ormai ricercatissima, nel febbraio 1945, si trasferì a Milano, dove continuò l’attività cospirativa insieme alle donne operaie e partecipò alla liberazione della città.
Lina entrò nella Resistenza più o meno nello stesso periodo della sorella: in una sua testimonianza intitolata “Bisogna resistere”, pubblicata nel volume “Donne, Resistenza e Cittadinanza politica. Avvenimenti, passioni, emozioni, delusioni”, descrive così il momento in cui decise di aderire alla lotta di liberazione: “Ho cominciato a dare attività per la Resistenza nel 1943, l’8 settembre, di mia iniziativa nonostante i miei fossero antifascisti. […]. In me andava maturando qualche cosa contro quell’ambiente corrotto e contro le ingiustizie subite a scuola. La mia casa era frequentata da Remo Polizzi e Gigi Porcari, che sposò la sorella di mio padre. Con loro parlavo spesso del partito comunista, della lotta che il partito portava avanti. Fu proprio di mia iniziativa che dissi a mio zio che, se aveva bisogno, io ero pronta per dare il mio contributo” (L. Polizzi, “Bisognava resistere”, in “Donne, Resistenza e Cittadinanza politica. Avvenimenti, passioni, emozioni, delusioni”, a cura di M. Minardi, Parma, Tipolitografia Benedettina Editrice, 1997, p. 73). Fu così che Lina, con il nome di battaglia di “Gabriella”, iniziò a collaborare con il Soccorso Rosso, una rete di soccorso attraverso la quale i partigiani consegnavano viveri, denaro e altri mezzi di sussistenza ai familiari degli antifascisti detenuti in carcere; successivamente Lina iniziò l’attività di staffetta a Bardi ed entrò nella XII Brigata Garibaldi.
Primo, ferroviere, iniziò a collaborare con i partigiani già dopo l’8 settembre, compiendo con l’amico e collega Sergio barbieri atti di sabotaggio in ferrovia; fu però nel maggio del 1944, anno dello scadere del suo esonero dalla leva, che Primo, dopo essersi consultato con lo zio Luigi Porcari, divenne partigiano: salì in montagna ed entrò, con il nome di battaglia di “Manetto”, nel distaccamento Betti della XII Brigata Garibaldi, divenendone successivamente commissario politico.
Nel periodo in cui i tre ragazzi erano impegnati nella Lotta di Liberazione, Casa Polizzi era divenuta un “porto di mare” (cfr. L. Polizzi, “Bisognava resistere”, in “Donne, Resistenza e Cittadinanza politica. Avvenimenti, passioni, emozioni, delusioni”, a cura di M. Minardi, Parma, Tipolitografia Benedettina Editrice, 1997, p. 75), un rifugio e un punto di riferimento per i partigiani, e questa sua funzione determinò grossi guai per i suoi abitanti: nel luglio del 1944, Lina, insieme ad una compagna, dalla montagna scese in città per portare del materiale e soggiornò per alcuni giorni a casa. Proprio in quel momento, due giovani si presentarono in Vicolo Santa Maria n. 6, fingendo di essere degli antifascisti appena usciti dal carcere, e chiesero a Lina di procurare loro i contatti per salire l’indomani in montagna. La mattina successiva, il giorno 31 luglio 1944, i due uomini sarebbero dovuti tornare a casa Polizzi per incontrare alcuni partigiani che li avrebbero condotti in montagna. I due rispettarono sì gli accordi, ma giunsero in compagnia di un folto gruppo di tedeschi, che arrestarono, prima, Ernesto, il quale stava rincasando dal lavoro, e successivamente, quello stesso giorno, Lina, la madre Ida, e la giovane Julka, una partigiana slava che temporaneamente soggiornava presso i Polizzi, incinta.