Dopo l’arresto, Enrico Polizzi, Ida Mussini e Lina Polizzi furono condotti a Palazzo Rolli, dove si trovava la sede della S.D. tedesca, e furono subito portati nelle celle situate nelle cantine. Così Lina descrive quegli attimi: “Ci misero subito nelle cantine, mia madre con delle altre, io da sola nell’ultima. Tra la mia cella e quella di mia madre c’erano degli uomini: sentii la voce di mio padre. Sapemmo in seguito che verso mezzogiorno era venuto a casa dal lavoro, fu fermato sul portone e gli fu chiesto dove andasse. Preso alla sprovvista, aveva detto il suo nome: era stato arrestato prima di noi. Nella cantina attigua stava incoraggiando gli altri. Incominciarono gli interrogatori: avvenivano sempre di notte sotto le luci forti. Ogni tanto usavano il nerbo. Una mattina, dalla finestrella della cantina, sentii due giovani fascisti dire che dalla cella dove era mio padre, due o tre prigionieri erano riusciti a scappare. Mio padre non era fuggito pensando alla moglie ed alla figlia, era stato comunque picchiato perché non aveva avvisato in tempo” (L. Polizzi, “Bisognava resistere”, in “Donne, Resistenza e Cittadinanza politica. Avvenimenti, passioni, emozioni, delusioni”, a cura di M. Minardi, Parma, Tipolitografia Benedettina Editrice, 1997, p. 75). Da quel momento, Ernesto, Lina e Ida iniziarono a “fare la spola” fra l’S.D. e il carcere di san Francesco.